Dovessero formare un governo, non ci sarebbero imbarazzi. Carlo agli Esteri: ha vinto in Inghilterra, in Francia, in Spagna e in Germania. Ovunque. Max agli Interni: vincerà il suo sesto scudetto e a quel punto avrà davanti il solo Trap con 7. In questo sono diversissimi, come nella forma. Coccolato dalla cucina emiliana, Ancelotti non ricorderà mai un’Acciughina. Allegri è spigoloso come uno scoglio livornese. Ma per il resto sono più simili di quanto possa sembrare. Perfino Sacchi, punto di massima divergenza tra i due, non è poi così divisivo. Carlo è legato ad Arrigo da stima, amicizia e gratitudine. Max lo guarda come Pinocchio guardava il Grillo Parlante con il martello in mano. Certo. Però poi, strada facendo, Carlo e Max sono arrivati a conclusioni tattiche analoghe.
Il gioco Ancelotti ha imparato da Sacchi che il gioco esalta il giocatore e lo protegge. Nello storico Milan-Real Madrid 5-0 dell’89 giocò sulla fascia sinistra anche se non era Gento e aveva il 20% di invalidità alle gambe. La squadra corta, sincronizzata, gli consentì di gestire spazi minimi, di segnare il primo gol e di fare un partitone. In nome del gioco, Carlo, da tecnico del Parma, esiliò Zola e non volle Baggio. Alla Juve, davanti a Zidane, gli venne una crisi di coscienza. L’abiura clamorosa avvenne al Milan con tutti quei trequartisti appesi all’“albero di Natale” (4-3-2-1): Pirlo, Seedordf, Kakà… Anche a Napoli, Carlo ha smussato i dogmi sarriani e il socialismo del palleggio portando un turnover dal volto umano. Allegri, ex numero 10 di estro, ha sempre predicato contro il calcio ridotto a scienza, rivendicando la sua natura poetica. La Juve delle 5 stelle è stata il suo manifesto: più giocate che gioco. Mandzukic esterno di sacrificio ed equilibrio è stato un dei suoi brevetti più felici. Che fa eco al Pirlo play basso inventato da Carlo. Ma la Juve più sua è l’ultima, trasformista, che rinnega il modulo fisso e si pone come ideale unico il risultato. «Per il divertimento andate al circo». In fondo, anche Ancelotti ha reso più concreto e meno bello il Napoli. E anche il suo Real, che il Bernabeu contestava spesso, incantava di rado. Ci pensava sempre CR7. Che oggi è la prima speranza di Max.
Aziendalisti. Altra parola che li affratella. Ancelotti è stato l’ombrello perfetto per De Laurentiis. Persa la musica di Sarri e il direttore Jorginho, il popolo si aspettava almeno un paio di grossi acquisti per rilanciare un ciclo stanco e agganciare finalmente la Juve che sembrava a tiro. Invece è arrivato il solo Ancelotti che non ha preteso nulla, anzi: «Conosco i fatturati, il Napoli non è il Real o il Bayern. Abbiamo in casa ciò che ci serve per essere competitivi». Un anno fa il Napoli guidava il campionato con un punto sulla Juve. Ora la insegue a -13, con 10 punti in meno. Il San Paolo si è svuotato, le due curve domeniche contesteranno. Ma Carlo gode di immutata stima e alimenta la speranza. Per questo De Laurentiis lo loda ogni cinque minuti. Allegri si riconosce nella parola «aziendalista». Non la considera una parolaccia: «Un allenatore è un manager che deve far rendere al meglio le risorse dell’azienda». Quando nel 2010 venne presentato al Milan, Max non disse una parola. Parlò solo il presidente Berlusconi al suo fianco nella sala di Milanello. Allegri sorrideva e basta, sembrava il corvo Rockfeller nella mani del ventriloquo. «Chi farà la formazione?», sghignazzavano tanti dandosi di gomito. Berlusconi sognava un Milan da Cirque de Soleil: Seedorf, Ronaldinho, Robinho, Pato, Ibra… Tutti insieme. Max impacchettò Dinho, definito da Berlusconi il «più grande di tutti i tempi», lo spedì a Dubai e nella trasferta della svolta a Bari, schierò insieme Gattuso, Flamini e Ambrosini: altro che circo… Mediani. Aziendalista sì, ma vinse lo scudetto a modo suo, al primo colpo, con personalità, talento e dignità da grande.
Empatia Difficilmente qualche giocatore prenderà la faccia di Allegri tra le mani come fece Gattuso con Ancelotti. Ci fosse bisogno di buttarsi nel fuoco per Carlo, molti suoi giocatori si metterebbero in fila: Pirlo, Inzaghi, Insigne… Ha guadagnato amicizia e fiducia ovunque con la sua umanità, la sua serenità, la sua onestà nei rapporti. Quali sono o sono stati i fedelissimi di Allegri? Boh… Altro carattere. Max si attiene a una gelida professionalità. Non accorcia le distanze. Ricorda Capello che infatti apprezza molto lo juventino, specie quando si scontra con Sacchi. Ma, attenzione, non vinci 4 (quasi 5) scudetti di fila, non alimenti la fame di una squadra con la pancia piena, se non sai comunicare, se non arrivi al cuore dei tuoi giocatori. E Max ci arriva. A suo modo, è empatico anche lui. Altri punti di contatto? I cavalli. Carlo li compra per la sua scuderia e vince le corse. Di recente “The Chosen One” (il Predestinato) ha trionfato in Costa Azzurra. Max sui cavalli scommetteva fin da bambino. Una volta puntò su “Minnesota” e l’amico allibratore gli disse: «Più facile che arrivi tu in Serie A che “Minnesota” al traguardo». “Minnesota” vinse la corsa e Allegri è arrivato in Serie A. Ancelotti pesca salmoni in Canada, terra della sua compagna. Allegri nel ‘92 mollò la fidanzata sull’altare e andò a pescare con Galeone. Domenica al San Paolo si sfideranno due grandi allenatori, che poi così diversi non sono.
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