La Juve ha vinto il campionato, la Lazio la Coppa Italia, l’Inter la classifica del possesso palla. L’orgoglioso annuncio dello speaker di San Siro, domenica scorsa prima della partita con il Chievo, rinnova l’annosa questione: ma il possesso è un valore?
In parte, oggettivamente sì. Spiega Arrigo Sacchi: “Se io tengo il pallone per un’ora e l’avversario mezz’ora, in quella partita io imparo il doppio di lui”. È intuitivo. A parità di talento, se il primo allievo siede al piano il 60% del tempo delle lezione e il secondo il 40%, alla lunga il primo suonerà meglio.
E poi il possesso di palla ti trasmette una esaltante sensazione di comando e intimidisce chi resta a guardare. Chi si trovava a correre invano al centro del torello organizzato da Xavi e Iniesta covava lo spiacevole sospetto di essere preso in giro.
Però c’è possesso e possesso. Quello del Barcellona di Guardiola passava da Messi e finiva quasi sempre in rete. Altri tipi di possesso si prolungano senza sbocchi fino a diventare una specie di supercazzola e di conseguenza si trasformano in limite e non valore. Se al Brad Pitt del Bar Sport chiedono: “E allora? Com’è andato l’appuntamento di ieri con la tipa?” e lui risponde “Abbiamo chiacchierato tutta sera”, non ci fa un figurone. Torello sterile.
Se l’Inter con il più alto possesso del campionato, ha segnato 20 gol in meno dell’Atalanta (77-57), significa che ha chiacchierato troppo. La stagione di Spalletti è stata ferita a morte dal mancato arrivo di Modric e dall’assenza di un piano B. La conseguenza è stata una carenza cronica in costruzione. Tutto passava dal mono-play Brozovic. Bloccato lui, la palla finiva per perdersi in un labirinto di passaggi orizzontali senza sbocchi.
L’Atalanta, al contrario, punta al controllo del gioco, intimidisce con il palleggio, ma, appena può, attacca sempre la porta in verticale e lo fa attraverso linee di gioco memorizzate e perfettamente riconoscibili. Ha un’idea che funziona.
Stasera il Liverpool, che ha una delle tifoserie più innamorate del mondo, tenta di conquistare la Champions League. “Non camminerai mai solo”, gli canta la curva innamorata. Eppure Klopp esercita il minimo del possesso. Svuota il campo e, appena recupera palla, lo attraversa di corsa per fare gol con le sue frecce rosse.
La verità è che, se il calcio assomiglia alla vita, il pallone è l’amore. In una relazione che funziona il possesso è calibrato nella giusta dose. Non è vero che chi possiede di più, ama di più. Spesso il possesso soffoca l’amore che ha bisogno di libertà e di fiducia. Chi ama per davvero sa aprire le braccia e concedere spazio. Vale anche per i genitori. I giocatori che si innamorano del pallone e non lo mollano, non fanno mai il bene della squadra. Sono single per costituzione. L’amore è come il fuoco, per divampare ha bisogno di ossigeno e di spazio. Il calcio è uguale. Il cuore cerca l’aria, il pallone l’area.
#LuigiGarlando
Via | Sportweek
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