Dieci anni senza Candido Cannavò

Dieci anni senza Candido Cannavò

5 Marzo 2019

Dieci anni senza Candido Cannavò, il direttore che mi ha assunto alla Gazzetta dello Sport e che considero ancora la mia stella polare. Lo ricordo con le parole tratte da “Il mestiere più bello del mondi – Faccio il giornalista “ (Rizzoli) , il libro che gli ho dedicato.

Un anno prima che morisse avevamo condiviso gioiosamente l’Olimpiade di Pechino. Sembrava un bambino al luna-park. Ogni mattina al centro stampa studiava il programma della giornata e mi chiedeva: “Cosa andiamo a vedere oggi?”

Gli brillavano gli occhi.

Era ai Giochi in veste di inviato, come me. Da 6 anni non dirigeva più il giornale.

Il pomeriggio del 14 agosto 2008 la scelta era obbligata: Chiara Cainero, ragazza friulana, si giocava la medaglia d’oro in uno spareggio a tre con una tiratrice americana e una tedesca.

Poco prima della gara si scatenò il finimondo. Un temporale pazzesco che dipinse di nero il cielo e rovesciò un oceano sulla terra. I volontari traghettavano i giornalisti al campo di tiro su piccole macchinette tipo quelle dei campi da golf. Era come travasare un mare con il cucchiaino. Le macchinette erano poche, i minuti che mancavano allo spareggio pure, i posti al coperto solo quattro e i giornalisti da trasportare troppi.

Rischiavamo di perderci la medaglia di Chiara. Molti colleghi infatti si arresero e rientrarono nel centro-stampa per seguire la gara in televisione, all’asciutto.

Candido mi guardò e mi chiese: “Ci sediamo lì dietro?”

“Lì dietro” voleva dire sul retro della macchinetta, con le gambe a penzoloni, al di fuori del tettuccio che proteggeva dalla pioggia.

Potevo rispondere di no?

Per almeno venti minuti ci siamo presi delle secchiate d’acqua sulla testa come neppure Noè il giorno del diluvio. Candido sorrideva felice come un bambino sfuggito alla mamma che sguazza in una pozzanghera, con i capelli appiccicati sulle tempie.

Perché un uomo di 78 anni, un giornalista famoso che aveva già alle spalle una carriera leggendaria, doveva beccarsi tutta quella pioggia?

Perché, se per scrivere il suo articolo quotidiano gli sarebbe bastato assistere alla gara dalla sala-stampa come avevano fatto quasi tutti i colleghi più giovani?

La risposta è semplice: perché si divertiva ancora e perché per nessuna ragione al mondo avrebbe rinunciato all’emozione di una medaglia vista dal vivo.

La bravissima Chiara lo premiò vincendo un oro che splendeva come il sole in mezzo alla pioggia. Un oro storico: il primo di una donna italiana nel tiro a volo olimpico. Ne era valsa la pena.

Tornati in sala-stampa, scrivemmo i nostri articoli ed esaltammo l’impresa della tiratrice friulana mentre l’aria condizionata ci gelava l’acqua nelle ossa.

Questa è la prima grande lezione di Candido che mi porto dietro da sempre: la passione.

 

Candido Cannavò
Rizzoli

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