Gli ultrà dell’Inter nel loro comunicato ufficiale hanno usato un verbo solitamente riferito ai topi che invadono le cantine: «infestare». Nel caso i tifosi dell’Atalanta «infestassero» San Siro per le partite di Champions, «tutti i frequentatori della Nord» sono invitati fin da ora a presentarsi davanti al Baretto, nell’anti-stadio, in segno di protesta. Gli ultrà del Milan, rappresentati al varo della stagione dal pregiudicato Lucci, avevano già espresso il loro dissenso all’ipotesi di prestare San Siro alla Dea. E avevano trovato sponda nel presidente rossonero Paolo Scaroni: «Bisogna tenere conto dell’umore dei tifosi. Lo stadio è anche loro». Secondo il comunicato interista, l’idea «è assurda e calpesta ogni logica». Forse calpesta la logica tribale della curva come territorio chiuso, zona franca, inalienabile, da presidiare con un distorto concetto d’eroismo, spesso violento. Non calpesta certo la logica dello sport che, per costituzione, è accoglienza, apertura all’altro, condivisione. Se c’è un momento storico nel quale urgono messaggi del genere è questo. San Siro è la Scala del calcio. La Scala vera si illumina delle stelle che vengono a cantare o a danzare da tutto il mondo. L’Atalanta, che incrocerà senz’altro almeno uno squadrone, potrebbe portare al Meazza Messi, Aguero, Salah… Un regalo anche per i milanesi. La Milano dei grattacieli di vetro, affacciata sul futuro, che ha appena vinto il diritto di ospitare il mondo ai Giochi invernali del 2026, può chiudere le porte a una squadra che abita a 50 km di distanza? All’Atalanta della Goggia? Alla Bergamo di Facchetti e Donadoni? Sarebbe una brutta, stridente contraddizione. Soprattutto per l’Inter che nell’atto di nascita porta scritto: «Si chiamerà Internazionale perché siamo cittadini del mondo». Cittadini del mondo e ostili ai vicini di casa? Andiamo a giocare la Supercoppa a Pechino, a Doah, a Gedda, spalanchiamo mercati, allarghiamo prospettive e poi ci rinchiudiamo in meschine logiche di possesso, in una preistorica accezione di ius soli. Giusto tenere conto dei sentimenti dei tifosi, legittimo l’orgoglio di appartenenza, ma a decidere sulla richiesta dei Percassi devono essere le società, Inter e Milan, in totale indipendenza e autonomia. I club crescono in prestigio ed autorevolezza, non solo grazie ai risultati e ai ricavi, ma anche attraverso decisioni alte e alla forza di imporle. L’Inghilterra, che ha portato quattro finaliste nelle ultime due coppe europee, ha risolto da tempo la dipendenza dalle tifoserie violente. Nelle nazioni calcisticamente all’avanguardia, lo stadio è diventato sempre più teatro; un luogo confortevole dove godere uno spettacolo di qualità, senza rischi, possibilmente in famiglia. Noi veniamo da maglie ripiegate e consegnate in curva, da derby sospesi per volere di truci capipopolo. Qui serve «disinfestazione». Boca e River hanno dovuto scavalcare un oceano per giocare un derby di Libertadores senza violenze. San Siro, finché vivrà, sarà soltanto lo stadio di Inter e Milan. Solo loro. Ma permettere che diventi il teatro della bella Atalanta per poche notti di gloria, senza incubi di ordine pubblico, sarebbe un passo nella direzione giusta. Verso il futuro. verso lo sport.
#LuigiGarlando
Via | La Gazzetta dello Sport
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