Avrete letto o sentito parlare di un libro uscito questa estate: “La partita”, di Piero Trellini (Mondadori)? Bellissimo. La partita è Italia-Brasile del Mondiale ’82. I tre gol di Pablito Rossi, la parata di Zoff sulla linea nel finale, la maglia strappata di Zico… Trellini ha rovesciato il tappeto che conosciamo tutti e ha mostrato gli intrecci che lo compongono. Coincidenze spettacolari, radici nascoste, premesse storiche.
Paolo Rossi scoprì il Brasile in un altro 5 luglio, nel ’75, giovane juventino in tournée, condivideva la stanza con Altafini che gli raccontava di Pelè. Bearzot annunciò i convocati per Argentina ’78 il giorno di maggio in cui le Brigate Rosse fecero ritrovare il corpo di Aldo Moro bel bagagliaio di una Renault 4. Poi la saga dei fratelli Dassler che fondarono Puma e Adidas, il papà di Joao Havelange che per un treno perso non s’imbarcò sul Titanic, il guardalinee bulgaro che vide la parata di Zoff sulla linea, ma non la mano di Dios in Messico. E ancora Licio Gelli e il Corsera, le dittature in Spagna e Argentina, Garibaldi e Cavour, indietro fino ad Amerigo Vespucci che scoprì il Brasile e Plinio il Vecchio che lo favoleggiò.
Non solo il mare grosso di Italia-Brasile, ma anche i mille, piccoli fiumi che lo hanno riempito. Il pretesto di una partita di calcio per raccontare il mondo.
Giusto così perché uno stadio non sarà mai una castello chiuso, ma una piazza aperta in cui transita la storia, non solo quella sportiva, e in cui le persone crescono, cambiano, non meno che a scuola o in ufficio. E’ con questa consapevolezza che accogliamo il campionato che riparte. Non ricomincia la solita caccia alla Juve. Molto di più.
La Serie A è una mano di colla settimanale su un Paese spaccato, mai come ora. Un filo che riunisce i campanili nell’estate di una crisi di Governo. Un tempo in spiaggia facevano notizia le sabbiature dei calciatori a riposo, ora i comizi lividi dei politici.
Riaprono venti porti d’accoglienza, riparte lo sforzo di tenerli puliti dal razzismo per impedire che qualcuno ascolti ancora ciò che è toccato a Koulibaly, Kean e Bakayoko nel torneo scorso.
La svolta del bel calcio, annunciato dalle panchine nuove (Sarri, Conte, Giampaolo…), arriva provvidenziale nell’Italia degli hater. “Non sono stati gli aerei, è stata la bella a uccidere la bestia”, spiega Carl Denham in King Kong. La bellezza educa, raffina. Come dice Arrigo Sacchi: “Impariamo ad andare allo stadio come si va a teatro, non all’arena”. Cercare il piacere dello spettacolo oltre alla vittoria sul nemico. All’estero succede già.
In passato ha fatto spesso comodo presentare gli stadi violenti come la parte malata della società. Oggi viene il forte sospetto che lo sport possa esserne una buona medicina; una palestra di valori e di convivenza civile che molti, a cominciare dagli ultrà della politica, non frequentano.
Ben tornato, campionato.
#LuigiGarlando
Via | Sportweek
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